09 ottobre 2013

A te che m'hai centrato con il tuo Jeeppone

Per fortuna non sto a raccontare di esperienze personali.
Inizialmente la parodia fa ridere ma dovrebbe far riflettere.
Riflettere sul comportamento di molti automobilisti nei confronti di chi va in moto.....
Ridiamoci su ma non smettiamo di pensare.

11 maggio 2013

Proviamo a fare come i Francesi?




 di Marco Polli 


Il problema delle polizze di assicurazione con un costo elevato non è solo Italiano. Hanno vissuto un problema analogo anche in Francia, quando nei primi anni 80, nel pieno di una crisi economica, assicurare una moto poteva volere dire pagare un premio pari al 50% del valore di una moto di media cilindrata.  Però i motociclisti Francesi non si sono limitati al mugugno, non si sono fermati al "qualcuno dovrebbe fare qualcosa".

in Francia la FFMC (Federazione Francese dei Motociclisti in Collera) ha proposto ai motociclisti di creare una compagnia di assicurazione dedicata ai motociclisti. Si doveva però creare un fondo di garanzia, e 40.000 motociclisti francesi sono stati disposti a pagare circa € 45,00 a testa per creare questo fondo, grazie al quale, nel 1983, ha preso vita la prima compagnia assicurativa specifica per motociclisti, la Mutuelle des Motards
Il CM (l'associazione dalla quale è nato il CIM nel marzo del 2012) prese contatti con la Mutuelles des Motards per avere informazioni su come fare qualcosa di simile anche in Italia, chiedendo se fossero interessati ad aprire una sede anche in Italia. Tutto però dovette arenarsi su uno scoglio: la creazione del fondo di garanzia italiano.
Per creare una compagnia di assicurazione serve infatti avere questo fondo, una cifra che varia da 1,5 a 5 milioni di Euro, che è la base per potere dare i risarcimenti. I motociclisti francesi se l'erano creato di tasca loro, essendo solidali tra di loro, ed era ovvio che per loro la prima cosa da fare in Italia fosse partire con la creazione di questo fondo, creato dai motociclisti Italiani.
Ed è stato altrettanto ovvio che non si sia mai potuto fare nulla. Purtroppo il motociclista italiano è, come prima cosa, un Italiano, e quindi incapace di fare qualcosa che vada oltre il mugugno. Tutti pronti a dire "qualcuno deve fare qualcosa", ma quando venne proposto di partecipare ad una raccolta fondi per la creazione del fondo di garanzia, in pochissimi si sono resi disponibili a farlo.
Le scuse erano sempre le stesse. A partire dalla sfiducia, per arrivare alle motivazioni che fanno capire quanto le persone non avessero capito nulla: "Quando sarete partiti, allora contribuirò". Ammesso di riuscire a partire, a persone del genere non sarei disposto nemmeno ad accordare una polizza. E purtroppo sono in tanti a ragionare così.
E' come dire "Ottima idea la vostra battagia. Ora però fate qualcosa voi, e poi, quando state per vincere, salgo anche io sul carro per vincere con voi." Peccato che a fare così non si arriverà mai a vincere qualcosa, e quei pochi risultati che si raggiungono, sono stati conseguiti con impegno esagerato fatto da pochi.
"Perché non facciamo qualcosa anche noi", oppure "Facciamo anche noi una FFMC italiana". Vediamo questi commenti e ce ne rammarichiamo, perché è l'ennesima dimostrazione che gli Italiani hanno la memoria molto corta. La versione italiana della FFMC esiste da oltre vent'anni, ma non basta una associazione come quella francese, servono gli associati come quelli francesi! Se la FFMC ha avuto modo di raggiungere gli obiettivi che ha raggiunto, è grazie al fatto che la seconda F del loro nome significa "Francese".
La I di CIM significa "Italiano". Ed è questo che fino ad ora ci ha fregato.

In Italia unirsi per un obiettivo comune sembra sia impossibile, sono vent'anni che esistiamo ma non abbiamo mai raggiunto nemmeno i 1.000 tesserati, figuriamoci arrivare a 40.000 come in FFMC. Quindi se qualcuno ora dice "ma perché nessuno ha mai fatto nulla", la risposta che possiamo dare è "non è vero, noi abbiamo provato a fare qualcosa, ma tu dove eri?"
Ora proviamo a riproporvelo, vediamo quanti vorranno unirsi a noi per creare qualcosa di diverso. Scriveteci all'indirizzo assicurazione@cim-portale.it per mettervi in contatto con noi, per capire in quanti sono davvero disposti ad impegnarsi. Per potere dire "io sono uno di quelli che ci ha provato".
Qui potete trovare una raccolta firme, per cominciare a capire quanti siamo quelli che vogliono provare a fare qualcosa. Per capire chi vuole partecipare a creare una società di mutua assicurazione, senza fine di lucro, dedicata unicamente a veicoli a due e tre ruote. Fatta da motociclisti, per motociclisti.
Per smettere di vergognarci e cominciare ad essere orgogliosi di quella "I" del nome della nostra associazione, che significa Italiano.
Marco Polli
Presidente del Coordinamento Italiano Motociclisti

22 marzo 2013

La moto da ogni male salva



No il proverbio non diceva proprio così...
Più precisamente diceva "La malva da ogni male salva" e faceva riferimento alle innumerevoli proprietà terapeutiche di questa pianta spontanea.
Ma tornando alla nostra compagna di molti chilometri.
E' proprio vero...
La moto ti fa passare ogni dolore.
Sia fisico che mentale.

27 febbraio 2013

Oggi sono nero…


27.02.2013 Oggi sono nero…

Fonte foto: comeittoogami.blogspot.com
A proposito di solidarietà motociclistica…..
Premetto che sono uno strenuo fautore del saluto in strada e dell’aiuto reciproco in caso di difficoltà.
Ogni volta che ho visto un collega centauro con il mezzo in panne mi sono prodigato nel mettermi a sua disposizione per trarlo d’impaccio. Sia quando ho spinto uno scooterista sul ritorno dal mare per buona parte della Cristoforo Colombo, sia quando ho spinto fino a casa un altro disperato fermo sul Raccordo Anulare, così come quando ho aiutato un altro sfortunato che era rimasto a secco con un GS1200. Oppure un motociclista romeno con tanto di tuta di pelle e missile sotto il sedere che s’era perso sulla Via Appia… così come... così come....
Questi sono solo gli esempi più recenti che ricordo, ma l'elenco è ben lungi dall’essere completo.
Non sono uno di quelli che tira dritto. Un motociclista fermo lo considero come un fratello in quel momento più sfortunato di me. Oggi è toccata a lui domani potrebbe toccare a me, come si dice... stiamo tutti sotto lo stesso cielo...
Non è sicuro che possa fare qualcosa ma almeno mi fermo e sento se posso aiutare in qualche maniera.
 
Ma giorni fa è toccata a me. Fortunatamente una cosa banale.
Via di Malafede angolo Via Ostiense diretto ad Ostia. Ho un paio d’ore e prima di andare al lavoro voglio andare a respirare un po' di aria di mare. La mancanza di sole e salsedine inizia a farsi sentire alla fine di un inverno lungo e piovoso. Velocità contenuta approssimandomi ad un incrocio abbastanza pericoloso. Strada in discesa. Quarta, terza. Faccio salire il propulsore su di giri per sfruttare il freno motore e non affaticare i freni. Il bicilindrico della mia Transalp si fa sentire con qualche benevolo borbottio. Ma già nella scalata sento nella frizione qualcosa che non va. Niente di percepibile, forse solo un’impressione. Tiro e lascio la frizione e sento qualcosa che non va proprio come dovrebbe. Sembra come se ci fosse stata un po' più di ruvidità nel cavo. Forse una sensazione, forse una premonizione. Con i freni abbasso i giri del motore e passo alla seconda.
Ma ecco che.....

La leva della frizione viene tutta indietro e non torna al suo posto. Metto in folle e mi fermo a pochi metri dall’incrocio.
Guardo sulla leva sinistra e vedo il cavo della frizione oscillare come una molla. Dal foro di ingresso vedo quello che rimane del cavo metallico che scorre dentro. Sembra come un albero in inverno che ha perso tutte le foglie e con i rami rinsecchiti squassati dal vento. 


Porca paletta! Ho rotto il cavo della frizione.
E adesso? Come faccio?
Di sicuro non ho con me un cavo di ricambio. Non me lo sono portato nei giri in Umbria e Sardegna o nelle tendate in montagna, figurarsi quando giro per Roma... Grande errore....
Certo che tornare a Roma senza frizione non è che sia il massimo....
Finché c'è poco traffico cambiare "a secco" e "ad orecchio" cercando di capire dal numero dei giri quando arriva il momento di cambiare marcia si potrebbe anche fare. Ma la strada è parecchia. Non posso escludere di trovare traffico e rimanere fermo tra le macchine... Ed in caso di una partenza in salita? Naaaaa... Impensabile!
Armeggio con il telefonino cercando da un amico che abita in zona una dritta su un meccanico vicino. Ma la cosa non è immediata....
Il tempo passa così come i motociclisti, sempre fratelli, pure se tirano dritto vedendo uno con la moto ferma a margine carreggiata mentre cerca di arrabattarsi con un cavo ribelle.
Ma allora la solidarietà motociclistica?
Già... La solidarietà motociclistica dove si trova? Su una pista nel deserto del Gobi? Su un passo di montagna? In città, o meglio, ai suoi margini come mi trovavo io, viene meno?
Sono stati questi i pensieri che mi sono turbinati in testa....

A voi è mai capitato di essere "soggetto passivo" di solidarietà motociclistica?

Com'è andata a finire con la frizione?
Alla fine un benzinaio mi ha indicato un meccanico ad un paio di chilometri che fortunatamente aveva un cavo da adattare.
Dieci euro, una incazzatura ed il mare non l'ho visto nemmeno da lontano.

Buona strada a tutti
 

17 febbraio 2013

Mamma mia che impressione!


Mamma mia che impressione!
L’altra sera rientravo a casa a piedi.
Come sempre, quando passo davanti al posto dove solitamente lascio Amelia, ci butto un occhio per vedere se è tutto a posto, se è ancora dove e come l'avevo lasciata.
Un po' come fa un padre che rientra a notte fonda. Apre la stanza dei bambini e guarda se è tutto ok. Li vede che dormono, gli lancia un bacio e va a dormire tranquillo che tutto è a posto.
E' una specie di riflesso condizionato. Non ricordo di essere mai rientrato senza averlo fatto. E una volta che ho verificato che è al suo posto, nessun pezzo mancante, il blocca disco è messo e l’antifurto è inserito, mi posso avviare tranquillo verso il portone.
Lei è lì, come l’ho lasciata e come spero di ritrovarla il giorno dopo.
Ma l’altra sera non è andato tutto così
Tornavo a casa e guardando nella sua direzione non la vedevo.
No forse l’ultima volta l’ho messa di fronte.
No non c’era nemmeno di là.
I posti dove la metto sono due, massimo tre, tutti nel raggio di pochi metri.
Guardo nel posto dove la metto più di rado ed anche quello era vuoto.
Il tempo si è fermato. In una frazione di secondo sono mi passati nella mente tutti i motivi per i quali non avrei potuto trovarla.
Avevo prestato la moto? Impossibile! Tranne il mio meccanico ed un paio di volte un giretto a mio cugino Amedeo, le mani su Amelia non le mette nessuno!!!
La moto mi era stata rimossa dalla Polizia Locale? Difficile. Non la metto mai in zona divieto e lì non c’è nessun cartello. Nemmeno lavori stradali urgenti che avessero richiesto il suo spostamento.
Non rimaneva altra ipotesi.
Era stata rubata. Orrore! Tragedia! Lutto! Disgrazia!
Fonte foto: imageshack.us
In un attimo ho ripercorso mentalmente tutti i due anni e mezzo che è stata con me. Dalla mattina del ritiro al concessionario, le corse al mare, le gite in collina, il viaggio in Sardegna, il viaggio futuro che stavo immaginando. Poi gli accessori montati, quelli che ancora non avevo installato. Le scritte in rifrangente che volevo applicare.
Eccetera eccetera eccetera.
Attimi infiniti di terrore…
Tornando al paragone dei bimbi sarebbe come trovare nella penombra il lettino vuoto senza nessuna traccia dei pargoli… ci pensate?
Con gli occhi sbarrati già mi immaginavo tutta la trafila. La denuncia alle autorità, all'assicurazione. Tutta la pratica per il risarcimento che tanto non accontenta mai.
Poi i giri nei posti dove l’avrebbero potuta portare per smontarla.
No magari già era su un furgone anonimo per chissà quale destinazione.
Forse era un furto su commissione e della povera Amelia era rimasto solo lo scheletro pronto per fare ruggine in chissà quale discarica abusiva.
Oppure era la bravata di qualche ragazzetto in cerca di adrenalina… rubare una moto per farci qualche giro e poi abbandonarla.
No, magari la ritrovavo parcheggiata dove non mi ricordavo. No no. Impossibile.
Ma la cosa peggiore per il futuro era quella di riconoscere la mia amata Bimba in ogni Transalp nera che girava per la strada. Controllare se c’è il piccolo adesivo sul cupolino, i pochi graffi sulla carena.
Poi, altro problema da non sottovalutare… e domani? Come vado a lavorare? Con i miei orari prendere i mezzi pubblici è una cosa improba…
E poi? Per quanto tempo sarei potuto rimanere senza una due ruote?
E cosa farmi? Rifarla uguale? Una Amelia II come una barca? Un mezzo simile? Cambiare completamente genere?
Ma, soprattutto… con quali soldi?
Attimi interminabili, credetemi.
Poi, come un lampo che squarcia le tenebre è arrivata l’illuminazione…
Fonte foto: it.123rf.com

Certo che la moto non c’era… Era dal meccanico!!!!!!


Fonte foto: memegenerator.net

Che tonto! Ma soprattutto… Che smaltita!!!!
E a voi? è mai capitato niente del genere?

05 febbraio 2013

Il viaggio del sogno Parte 2



(...Segue) Un po’ colpa di un articolo di Dueruote di dicembre 2011.
Lì si raccontava di un viaggio lungo il  fiume Giordano fino a Aqaba, dalla parte giordana, fatto dal cuoco francese di corte con la passione per le Harley.
Un po' ci si è messo (non me ne voglia l’Autore, lo dico in senso positivo) quel giramondo di Marcello Anglana con il suo libro “Medio Oriente: la terra proibita in moto dalla Turchia all'Egitto, attraverso Israele”.
Per chi non lo conoscesse, Anglana (www.gold-wing.it) è un normalissimo funzionario pubblico pugliese e non un eccentrico magnate del petrolio. Lui di punto in bianco prende la sua Honda Goldwing e decide di farsi una passeggiata. La meta? Sia essa Capo Nord o le piramidi in Egitto, come il Giappone o la Mongolia, il nostro bravo Marcello carica i bagagli sulla sua moto e solo soletto, pure senza sponsor, prende e parte. Perché come dice lui, “la meta è il viaggio”… E come dargli torto…?

Cos'è successo ventidue anni fa o giù di li?

Percorrevo in pullman quella fantastica strada israeliana che è la numero 90. Costeggia tutto il corso del fiume Giordano dalla parte israeliana, da Kiryat Shmona nel profondo nord ai confini con il Libano, passa per il Lago di Tiberiade, segue per il Mar Morto, rotolando verso Sud arriva dritta dritta fino ad Eilat sulle sponde del Mar Rosso. Era il ’91. La prima Guerra del golfo era appena finita ed io e quella che sarebbe diventata la mia zavorrina, andavamo a scaldarci, anzi ad arrostirci da quelle parti. Il pullman era confortevole. Aria condizionata e ragazzetti chiacchieroni intorno a noi. Il panorama da Gerusalemme fino al profondo sud israeliano scorreva sonnacchioso. Avevamo gli occhi già pieni del mare che ci aspettava dopo quattro ore di corriera. Deserti sabbiosi, oasi, pietraie e villaggi si alternavano lungo tutta la strada. Ero seduto agli ultimi posti per ed il walkman mi teneva compagnia. Ma un rombo improvviso sbucato dall'ultimo dosso percorso ci seguiva. Un rumore insolito per il paesaggio ma in un certo modo familiare. Due Yamaha TT 600. Bianche e rosse. Casco da cross, abbigliamento tecnico, stivali e gli zaini legati sul piccolo portapacchi. Per un po' ci hanno seguito, poi appena la strada l’ha concesso, marcia scalata ed allungo verso l’orizzonte. Ca@@o che figata. Ma non faccio in tempo a finire il pensiero che noto la targa. Erano targate Milano!!! Doppia figata!! Il viaggio prosegue pigro fino alla destinazione.

Per tutta la permanenza ad Eilat riesco ad avvistare i due centauri solo un paio di volte. L’ultima mentre andavano di gran carriera verso sud in direzione di Taba al confine con l'Egitto. Non li vedrò mai più. Nessuna possibilità di scambiare con loro 4 chiacchiere sulle impressioni di viaggio o anche solo per una birra fresca in quel forno a 45° di Eilat. 
(continua)

Il primo ricordo


Tutti noi motociclisti andiamo in moto da più o meno tempo.

Chi ha iniziato adolescente, chi ha scoperto il sacro fuoco delle due ruote che aveva già le prime stempiature o chi la passione se l’è fatta venire in una età più o meno variabile.
Ma, chiedo a tutti voi, qual è il vostro primo ricordo motociclistico?
E qui non intendo la prima volta che avete portato la vespetta, il primo scivolone o la prima moto a marce…. Quando è successo che per la prima volta in assoluto siete saliti sulle due ruote che non fosse il triciclo della Chicco o la bici Graziella?
Il mio ricordo è molto lontano. Allo stesso tempo sfocato ma molto presente.
Premesso che in famiglia, tranne un episodio sporadico al quale non potevo partecipare per legittimo impedimento (dovrei indicare gli anni con i numeri relativi, quelli col meno davanti per intenderci, se vuoi leggi pure qui) di moto non ce ne sono state affatto.
Niente papà Centauro o zii smanettoni che portano il pargolo a fare un giretto… Ma il babbo, per questo come per l’altro mio interesse, purtroppo un po’ sopito - il mare, è stato un portatore sano di passione.
Ma torniamo a noi, non divaghiamo…
Facendomi due conti avrò avuto 5/6 anni, non di più.
Mi capitava spesso di andare con mio padre a fare il giro dei suoi clienti. Ogni cliente un mondo da esplorare, sempre pronti a fare i complimenti al figlio del fornitore, a volte un po’ troppo appiccicosi ricordo. Erano mercerie ma spesso anche negozi di giocattoli, quindi capirete bene il mio totale disinteresse… A Casalotti, sulla Via Boccea, mio padre aveva un cliente che teneva sempre parcheggiata la moto sul marciapiede fuori dal negozio. E la tappa fissa, prima di passare al cliente successivo, era quella della salita sulla moto.
Non ricordo bene che moto fosse stata, azzardo una Honda four. Ma ricordo benissimo il serbatoio davanti tondeggiante e squadrato dietro che si raccordava con la sella. Altro azzardo il colore, mi sembra rosso. È preciso il ricordo del serbatoio perché io ero piccolino e dalla sella non riuscivo a toccare le manopole. Così il gentile Centauro mi faceva sedere sul serbatoio con i piedi penzolanti.
Ma una volta fece qualcosa che rimarrà impressa per sempre. La accese.
Ricordo le lucine sugli strumenti ed il rombo con le relative vibrazioni. Era parcheggiata sul lucernario che dava sullo scantinato e le vibrazioni venivano amplificate dal piano di cemento con i vetri squadrati. Che emozione!!! Mi sembrava di cavalcare un drago metallico che emetteva fumo non dalla bocca ma dalla marmitta. Mi mise la mano sulla manopola del gas e mi disse “Adesso tocca a te, dai gas!”. Wow!!! Ad ogni sgassata le vibrazioni aumentavano e la lancetta del contagiri percorreva il suo arco. Andata e ritorno. Mi guardavo intorno estasiato. Mi incuriosiva l’altra lancetta. Quella era sempre ferma. Potevo dare quanto gas volevo, ma il tachimetro era sempre fermo… boh, valli a capire questi draghi di metallo e gomma… Il tutto sarà durato qualche secondo, forse anche un minuto. Ma tanto è bastato perché a distanza di decenni la scena mi sia rimasta in mente…
Fonte foto: sicurmoto.it
Ovviamente un po’ più complicato era farmi scendere…
Ma avevamo il cliente successivo da visitare e chissà quale altra sorpresa avrei avuto…
Grazie anche di questo papà…

E voi? Qual è il vostro primissimo ricordo motociclistico?

04 febbraio 2013

E’ nata una centaura

"Ho intenzione di farmi una moto. Che cosa mi consigli? Mi dai una mano a cercarla?"
È stato così che qualche mese fa una mia amica mi ha comunicato la sua intenzione di compiere il grande passo. Entrare a far parte del fantastico mondo delle due ruote. Da Zavorrina voleva diventare Centaura. E non sto a dirvi che emozione ho provato a questa richiesta.
Subito le prime domande di rito... Che esperienza hai di guida? Che patente hai? A che tipo di moto sei indirizzata? Qual'è il tuo budget? Nuova o usata? Ma cosa ancora più importante.... Perché la moto? Fuoco fatuo passeggero o motivi più profondi?
Alle prime domande subito la doccia gelata. Pochissima esperienza nel campo. Il massimo delle due ruote condotte è stato un Honda SH che con tutto il rispetto è mooolto lontano dall'essere una moto. Corollario niente patente per moto, solo la B che fa portare poche cose. Quindi le consiglio una moto usata di piccola cilindrata da tenere un annetto giusto il tempo di capire se è tagliata per il mezzo, poi la patente e dopo un po' il  passo successivo per una media cilindrata. E poi chissà…. Per il tipo di moto mi dice di non avere grandi preferenze, purché sia leggera e non molto alta. "Budget? Serve anche quello? Dove si compra?" dopo aver chiarito il dubbio linguistico e traducendo l'anglicismo con un più prosaico "Ma quanto hai da spendere?" cui è seguito un "Poco. Molto poco purtroppo, un migliaio di euro", si passa alla domanda più importante... Perché la moto? Ed inizia a raccontarmi come è capitato il suo innamoramento a due ruote.
Primo giorno d'estate di due anni fa. Complici una breve fuga al mare con relativo gelato sulla rotonda insieme ad un suo amico, mi ha spiegato che stare dietro sulla moto è bello ma che voleva fare il grande salto di qualità. Decidere lei quale sia la strada da prendere, avere il vento sulla faccia e sentirsi libera, sensazione che solo la moto ti può dare. Promossa a pieni voti! Si! Aveva tutte le carte in regola per il grande passo... il resto non importava.
"La domanda sorge spontanea.... Ma la sai portare una moto? Mi sa che a marce non hai portato nemmeno la Vespetta... Quando hanno smesso di produrre quella a marce tu probabilmente giravi sul passeggino Chicco..." lei annuisce arrossendo… “risolviamo anche questo….” Le rispondo.
Allora via! Alla ricerca del mezzo! Tutto quello che le propongo, per un motivo o per l’altro, non andava bene. Mi telefona pochi giorni dopo dicendomi di essere rimasta folgorata in un concessionario. Niente fili scoperti sul quadro elettrico… Aveva solo visto una Honda CBR 125 rossa blu e grigia che le aveva trafitto il cuore.
L'oggetto dei desideri
Si! La moto dei sui sogni doveva essere quella e solo quella! Al negozio c'era salita sopra, abbastanza leggera anche per lei e non troppo alta.
Ci mettiamo alla ricerca dell'oggetto dei suoi desideri! Fa una decina di sms a potenziali venditori, l’accompagno ad un paio di prove e finalmente decide per l'acquisto. Neanche a dirlo si è messa contro mezza famiglia che accampava le solite scuse per dissuaderla. Ma lei, giustamente testarda, è andata dritta fino allo scopo. Arriva il grande giorno, il ritiro del mezzo. Drin! Lei al telefono "Senti... hai da fare dopodomani all'ora di pranzo? Dovrei ritirare la moto ma.... non so come portarla via... Non ho mai portato una moto a marce.... Mi fai compagnia? E, soprattutto... Mi insegni a portarla?" Ops!! Dettaglio trascurato...
Andiamo insieme con la sua macchina e prendiamo, anzi prendo la moto. Ha appena 11.000 km. Tutto sommato è in buone condizioni. Anche se è stata ferma da un anno e non tiene il minimo. Se si spegne bisogna farla partire a spinta. Batteria da sostituire. Speriamo bene per l’alternatore. Ottiene un altro sconto.
Devo attraversare Roma con un mezzo non mio, che non conosco e con la paura che mi pianti in mezzo al traffico. Mi affido a quel nume tutelare che segue ogni motociclista. Il mezzo, se lo tengo un po' su di giri, si comporta bene. È agile e maneggevole, scivola fluido nel traffico capitolino. Nemmeno a dirlo arrivo prima io e nel frattempo inizia a piovere. Penso “Moto bagnata moto fortunata”. Come la sposa. Lei, rallentata dal traffico che io invece avevo evitato si fa aspettare. Potenza delle due ruote…Per ingannare l’attesa le faccio qualche foto di rito all’hondina (le avessi fatte io le foto al primo motorino…. Ma all’epoca non c’erano gli smartphone che facevano anche il caffè…).
Arriva. Scende dalla macchina con un sorriso da orecchio ad orecchio. Era felicissima. Mi getta le braccia al collo e non smette di ringraziarmi. Finalmente aveva la moto dei suoi sogni.
Le spiego la moto punto per punto. Come vanno fatti i controlli di routine e le prime cosine da fare, in fondo era parecchio che stava ferma.
Subito in sella
Lei impaziente ci salta subito sopra incurante della pioggerellina che non smetteva. L’accende, tira la frizione e ingrana subito la marcia. Le faccio le ultime raccomandazioni, nemmeno mi sente che subito la vedo sparire tra le macchine del parcheggio dove eravamo. Qualche tentennamento ma tutto sommato andava bene.
“Avevi ragione tu!” mi dice “bastano poche cose e poi lascia fare all’istinto”.
In bocca al lupo novella Centaura!

Con il vento in faccia ed il sole dietro le spalle.
La consegna delle chiavi e l'investitura ufficiale a Novella Centaura
                     

27 gennaio 2013

Mi si è slacciato un sandalo

Fonte foto: it.paperblog.com
Roma, giugno 1963.
Sergio è un ragazzetto di Testaccio. Settimo di undici figli di una famiglia provata dalla guerra. Ventisette anni, di teste ne ha fatte girare parecchie. Un po’ alla poveri ma belli. Magro, 175, fronte alta. Un bel ragazzo. Scapestratello ma con tutte le intenzioni di mettere la testa a posto.
Ha da poco conosciuto Settimia. Ha deciso di mettere testa a partito. Stanno insieme da qualche mese. Lui ancora non lo sa, ma sarà quella che sposerà di lì a qualche anno.
Lei ha appena cambiato lavoro. Primogenita di tre sorelle, è da poco che ha iniziato a fare la commessa in un negozio a Via Cola di Rienzo, nel borghesissimo quartiere Prati. La paga è migliore della precedente. Le hanno promesso 25.000 lire al mese, ben 5.000 in più del negozio dove lavorava prima!
Anche lui ha da poco cambiato lavoro. È da poco che ha iniziato a fare il macellaio al popolarissimo mercato di Campo de’ Fiori.
Tutti e due pieni di aspirazioni e con le migliori intenzioni possibili.
Era un venerdì e quella sera dovevano andare a cena a casa della famiglia di lui. Il suocero un po’ burbero ma con la mania della famiglia unita e la suocera che diffondeva amore materno a chiunque le si avvicinasse. Una famiglia numerosa di lavoratori infaticabili.
Sono le 19.30 “A domani! Ciao” La serranda del negozio si chiude. Le altre commesse se ne vanno alla spicciolata. Chi a passi brevi e veloci sul marciapiede, chi rincorre l’autobus in partenza, chi entra nella macchina del fidanzato. Settimia si guarda intorno ma di Sergio nessuna traccia. “Uffa! Guarda se si vede. Dobbiamo andare a cena dai suoi e non mi va di arrivare tardi!” Pensa lei guardando l’orologio nervosamente.
Fonte foto: picasa.com
Non capisce perché quel giovanotto su quella moto enorme la guarda così insistentemente dal marciapiede opposto. Lei ha poco più di sedici anni e non è abituata a certi sguardi indiscreti. Sono ancora gli anni 60 e certe sfrontatezze ancora non vanno di moda. Ma cercando di non farsi vedere mette a fuoco la figura che aveva di fronte. “Ma è Sergio quello? No. Impossibile. Lui non ha la moto. Viene sempre a prendermi con la 500”. I pensieri le si accalcano nella mente.
Sergio aveva deciso di fare colpo. Si era fatto prestare una Harley Davidson da un amico. Forse se la sarebbe comprata con i primi risparmi. La moto l’aveva provata ma ancora non sapeva se Settimia avrebbe avuto la stoffa della zavorrina, come si dice adesso. L’America aveva inondato tutto l’Occidente di bei fusti che si portavano dietro belle figliole sul sellino della moto. Tutte pin-up e tutti Marlon Brando. Forse anche Sergio voleva provare quell’emozione. Ma per lui era importante anche il parere di Settimia. Non voleva farla trovare davanti al fatto compiuto cosa che in futuro avrebbe fatto un’infinità di volte.
Avvia la moto con un paio di colpi di pedivella. Il mostro d’acciaio inizia a borbottare rumorosamente con il motore al minimo. Le Harley sono sempre Harley. Una voce inconfondibile. Un colpo di clacson e Settimia non può fare a meno di riconoscerlo. “Set-tima!” Come affettuosamente continuerà a chiamarla per tutta la vita “Sono io! Non mi riconosci?”. Accidenti! È proprio lui! Ma dove avrà trovato quell’ammasso di ferraglia rumoroso e puzzolente?
Agitata attraversa la strada. Non sa se scoppiare a piangere o darsela a gambe. “Guarda un po’ se non mi doveva capitare un matto…”
“Dai Sali!” Fa lui. “Io su quella cosa lì non ci salgo. Ho paura!” La pronta risposta.
Con quella faccia da schiaffi che si ritrova, Sergio riesce a convincerla. Dopo mille promesse ad andare piano e mille raccomandazioni di Settimia, alla fine sale sulla moto. Vibra tutta e la posizione di traverso sul sellino posteriore non è delle migliori. Ma con la gonna stretta era l’unica maniera per salire. I sanpietrini sotto le ruote poi non aiutano per niente.
Settimia si stringe forte a Sergio promettendo a se stessa che quella sarebbe stata la prima ed ultima volta.  Il caldo della giornata di giugno lascia il posto al fresco della sera. Il vento scompiglia i capelli a tutti e due. Il sole inizia a scendere dietro i palazzi. Lui è contento come non mai. Ha una moto che tra poco potrebbe essere sua così come la bella ragazza che ha dietro. Settimia per la paura affonda la faccia sulla schiena di Sergio. Non vuole nemmeno vedere. Spera solo che la tortura, come pensa lei, finisca presto.
Via Cola di Rienzo, Via Cicerone e Piazza Cavour. L’imponenza del Palazzaccio, come i romani chiamano il palazzo dei tribunali, si fa sentire. Lungotevere. Da una parte la maestosità di Castel Santangelo, sfilano a sinistra i bianchi angeli del ponte davanti alla fortezza dei papi. Davanti a loro la fuga prospettica di Via della Conciliazione con sullo sfondo la santità della Cupola di San Pietro.
Sergio porta bene la moto. Agevolmente si addentra nello scarso traffico del ritrono a casa dei romani. Mentre si avvinghia alla sua unica fonte di salvezza, controllando le macchine che le sfilano intorno, Settimia con la coda dell’occhio guarda dietro. Sono seguiti dal 23 l’autobus che porta a Testaccio. Giusto giusto sotto casa di Sergio. Potrebbe essere la sua salvezza. Ma come prenderlo? Chiedere a Sergio di fermarsi per poterci salire sarebbe stata una pazzia. Lui avrebbe solo aumentato la velocità per arrivare prima e conseguentemente il terrore per lei si sarebbe solo che moltiplicato. Ci voleva uno stratagemma. Si ma quale?
Il terreno sotto le ruote a raggi corre veloce. Si guarda i piedi. Aveva messo anche i sandali nuovi che stavano proprio bene con quella gonna un po' troppo stretta. “I sandali!!!” Pensa tra se e se. “I sandali mi salveranno!”.
Fonte foto: it.paperblog.com

Aspetta un po’. Calcola il tempo che li separa dall’autobus che li segue. Alla fermata successiva, sempre sul lungotevere, davanti l’ospedale Santo Spirito, gli bussa sulle spalle. “Sergio fermati un attimo. Mi si è slacciato un sandalo ed ho paura che finisca nella ruota”.
Sergio si ferma. Con uno scatto che nemmeno lei si sarebbe aspettato, arriva in un batter d’occhio all’autobus che aveva appena aperto le porte. Il tempo che Sergio realizzi cosa sta succedendo che l’autobus lentamente sorpassa la moto ferma davanti al marciapiede.
Settimia abbassa il finestrino dell’autobus ed urla “Tu vai avanti. Ci vediamo a casa”. Esausta e sfinita sia dalla lunga giornata di lavoro che dalla paura degli ultimi minuti si siede dietro l’autista.
Sergio rimane con un palmo di naso. “Porca miseria me l’ha fatta. Questa mi darà del filo da torcere. Ma mi piace anche per questo”.
Le cronache non ci dicono che fine abbia fatto il mostro di Milwaukee.
A mamma la paura delle moto non passerà mai più….
Papà rimarrà un portatore sano di passione.
Sergio e Settimia

15 gennaio 2013

Il viaggio del sogno Parte 1


Fonte foto: motoviaggio.wordpress.com
Chi non ha un viaggio del sogno?
Ognuno di noi motociclisti che non si accontenta di rimirare la propria moto, bella lucida fuori dal bar, ha più o meno nascosto dentro di se il proprio viaggio del sogno.
Sia esso il ghiaccio di Capo Nord, l’americanissima Route 66, le sabbie del Sahara, il misterioso Oriente, la Transiberiana, l’Australia,  l’Elefantentreffen, la Transamazzonica e chi più ne ha più ne metta, ognuno ha in fondo al cassetto quel viaggio per quale ci si sveglia la notte a pensare….
Voi quale viaggio del sogno avete?
Il mio? Dopo un piccolissimo assaggio con il mini mini viaggio in Sardegna di giugno 2012, prepotentemente mi è tornato su, un po’ come i peperoni il giorno dopo, un viaggio che tengo nascosto laggiù in fondo al cuore da più di vent’anni.
Roma Eilat (costa israeliana del Mar Rosso per chi fosse poco pratico della zona), con Amelia ovviamente.
Pazzo? Chissà… (Segue...)

06 gennaio 2013

Caldo? Freddo?

E' risaputo che la moto non è cosa da tutti.
Le scuse che accampano sono le più disparate
Chi "La moto non fa per me. Non mi potrei vedere tutto spettinato dopo che mi sono tolto il casco"
Chi "La moto? No non ho più l'età E' roba da ragazzini".
Chi "La moto? No grazie ho la macchina. Perché 4 ruote sono meglio di due"
Chi "La moto? No non me la faccio perché, mi conosco, ci correrei troppo"
Chi "La moto? Ma che sei matto? Con tutto lo smog che ti respiri..."
Chi "E dove mi metto la tavola da surf d'estate? E gli sci d'inverno?"
Chi "Non capisco chi si fa la moto perché sente che sta invecchiando"
Chi "La moto? No no ho troppo freddo d'inverno e troppo caldo d'estate"
...
E si potrebbe andare avanti all'infinito.... Bah...
Avrei una infinità di argomenti da esporre che ci si potrebbero scrivere libri interi...
Ma per la categoria dei freddolosi/calorosi la tecnologia israeliana ha messo a punto un gadget che fa per loro. Niente scuse!!!!



Troppo forti st'israeliani.... Date un po' un'occhiata qui
Ma vi faccio una promessa...  non monterò mai una cosa del genere su Amelia.



Parola di boy scout, anzi di halutzì

P.S. Grazie Raffa per la consulenza