Sergio è un
ragazzetto di Testaccio. Settimo di undici figli di una famiglia provata dalla guerra. Ventisette anni, di teste
ne ha fatte girare parecchie. Un po’ alla poveri ma belli. Magro, 175, fronte
alta. Un bel ragazzo. Scapestratello ma con tutte le intenzioni di mettere la
testa a posto.
Ha da poco
conosciuto Settimia. Ha deciso di mettere testa a partito. Stanno insieme da
qualche mese. Lui ancora non lo sa, ma sarà quella che sposerà di lì a qualche
anno.
Lei ha appena
cambiato lavoro. Primogenita di tre sorelle, è da poco che ha iniziato a fare
la commessa in un negozio a Via Cola di Rienzo, nel borghesissimo quartiere Prati. La paga è
migliore della precedente. Le hanno promesso 25.000 lire al mese, ben 5.000 in
più del negozio dove lavorava prima!
Anche lui ha da
poco cambiato lavoro. È da poco che ha iniziato a fare il macellaio al
popolarissimo mercato di Campo de’ Fiori.
Tutti e due pieni
di aspirazioni e con le migliori intenzioni possibili.
Era un venerdì e
quella sera dovevano andare a cena a casa della famiglia di lui. Il suocero un
po’ burbero ma con la mania della famiglia unita e la suocera che diffondeva
amore materno a chiunque le si avvicinasse. Una famiglia numerosa di lavoratori
infaticabili.
Sono le 19.30 “A domani! Ciao” La serranda del negozio
si chiude. Le altre commesse se ne vanno alla spicciolata. Chi a passi brevi e
veloci sul marciapiede, chi rincorre l’autobus in partenza, chi entra nella
macchina del fidanzato. Settimia si guarda intorno ma di Sergio nessuna
traccia. “Uffa! Guarda se si vede.
Dobbiamo andare a cena dai suoi e non mi va di arrivare tardi!” Pensa lei
guardando l’orologio nervosamente.
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Fonte foto: picasa.com |
Sergio aveva
deciso di fare colpo. Si era fatto prestare una Harley Davidson da un amico.
Forse se la sarebbe comprata con i primi risparmi. La moto l’aveva provata ma
ancora non sapeva se Settimia avrebbe avuto la stoffa della zavorrina, come si
dice adesso. L’America aveva inondato tutto l’Occidente di bei fusti che si
portavano dietro belle figliole sul sellino della moto. Tutte pin-up e tutti Marlon Brando. Forse
anche Sergio voleva provare quell’emozione. Ma per lui era importante anche il
parere di Settimia. Non voleva farla trovare davanti al fatto compiuto cosa che
in futuro avrebbe fatto un’infinità di volte.
Avvia la moto
con un paio di colpi di pedivella. Il mostro d’acciaio inizia a borbottare
rumorosamente con il motore al minimo. Le Harley sono sempre Harley. Una voce
inconfondibile. Un colpo di clacson e Settimia non può fare a meno di
riconoscerlo. “Set-tima!” Come
affettuosamente continuerà a chiamarla per tutta la vita “Sono io! Non mi riconosci?”. Accidenti! È proprio lui! Ma dove
avrà trovato quell’ammasso di ferraglia rumoroso e puzzolente?
Agitata attraversa
la strada. Non sa se scoppiare a piangere o darsela a gambe. “Guarda un po’ se non mi doveva capitare un
matto…”
“Dai Sali!” Fa lui. “Io su quella cosa lì non ci salgo. Ho paura!” La pronta
risposta.
Con quella
faccia da schiaffi che si ritrova, Sergio riesce a convincerla. Dopo mille
promesse ad andare piano e mille raccomandazioni di Settimia, alla fine sale
sulla moto. Vibra tutta e la posizione di traverso sul sellino posteriore non è
delle migliori. Ma con la gonna stretta era l’unica maniera per salire. I
sanpietrini sotto le ruote poi non aiutano per niente.
Settimia si
stringe forte a Sergio promettendo a se stessa che quella sarebbe stata la
prima ed ultima volta. Il caldo della
giornata di giugno lascia il posto al fresco della sera. Il vento scompiglia i
capelli a tutti e due. Il sole inizia a scendere dietro i palazzi. Lui è
contento come non mai. Ha una moto che tra poco potrebbe essere sua così come
la bella ragazza che ha dietro. Settimia per la paura affonda la faccia sulla
schiena di Sergio. Non vuole nemmeno vedere. Spera solo che la tortura, come
pensa lei, finisca presto.
Via Cola di
Rienzo, Via Cicerone e Piazza Cavour. L’imponenza del Palazzaccio, come i
romani chiamano il palazzo dei tribunali, si fa sentire. Lungotevere. Da una
parte la maestosità di Castel Santangelo, sfilano a sinistra i bianchi angeli
del ponte davanti alla fortezza dei papi. Davanti a loro la fuga prospettica di
Via della Conciliazione con sullo sfondo la santità della Cupola di San Pietro.
Sergio porta
bene la moto. Agevolmente si addentra nello scarso traffico del ritrono a casa
dei romani. Mentre si avvinghia alla sua unica fonte di salvezza, controllando
le macchine che le sfilano intorno, Settimia con la coda dell’occhio guarda dietro.
Sono seguiti dal 23 l’autobus che porta a Testaccio. Giusto giusto sotto casa
di Sergio. Potrebbe essere la sua salvezza. Ma come prenderlo? Chiedere a
Sergio di fermarsi per poterci salire sarebbe stata una pazzia. Lui avrebbe
solo aumentato la velocità per arrivare prima e conseguentemente il terrore per
lei si sarebbe solo che moltiplicato. Ci voleva uno stratagemma. Si ma quale?
Il terreno sotto
le ruote a raggi corre veloce. Si guarda i piedi. Aveva messo anche i sandali
nuovi che stavano proprio bene con quella gonna un po' troppo stretta. “I sandali!!!” Pensa tra se e se. “I sandali mi salveranno!”.
Aspetta un po’. Calcola il tempo che li separa dall’autobus che li segue. Alla fermata successiva, sempre sul lungotevere, davanti l’ospedale Santo Spirito, gli bussa sulle spalle. “Sergio fermati un attimo. Mi si è slacciato un sandalo ed ho paura che finisca nella ruota”.
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Fonte foto: it.paperblog.com |
Aspetta un po’. Calcola il tempo che li separa dall’autobus che li segue. Alla fermata successiva, sempre sul lungotevere, davanti l’ospedale Santo Spirito, gli bussa sulle spalle. “Sergio fermati un attimo. Mi si è slacciato un sandalo ed ho paura che finisca nella ruota”.
Sergio si ferma.
Con uno scatto che nemmeno lei si sarebbe aspettato, arriva in un batter
d’occhio all’autobus che aveva appena aperto le porte. Il tempo che Sergio
realizzi cosa sta succedendo che l’autobus lentamente sorpassa la moto ferma davanti
al marciapiede.
Settimia abbassa
il finestrino dell’autobus ed urla “Tu
vai avanti. Ci vediamo a casa”. Esausta e sfinita sia dalla lunga giornata
di lavoro che dalla paura degli ultimi minuti si siede dietro l’autista.
Sergio rimane
con un palmo di naso. “Porca miseria me
l’ha fatta. Questa mi darà del filo da torcere. Ma mi piace anche per questo”.
Le cronache non
ci dicono che fine abbia fatto il mostro di Milwaukee.
A mamma la paura
delle moto non passerà mai più….